APPUNTI SULLA RIVOLUZIONE

I. Le mie bordate letterarie

Essere cittadini europei oggi, significa aver ben presente quel passaggio che va da una rigorosa, ingerente, economica condizione, ad un’altra, successiva, di tipo costruttivo, politico, solidale.

A scapito di ulteriori minacce esteriori, significa che quel tipo di condizione non ne ha comunque intaccato una propria interna volontà di unione e rafforzamento.

Chi non ha ben compreso quel passaggio - su una prima fase intenzionale, poi ripresa e concretizzata solo successivamente - e continua a rifugiarsi in movimenti o partiti strumentali di chiara matrice anti/euro o anti/europa (ma stesso discorso varrebbe per quelli infiltrati pro/europa, comunque sempre meno influenti) non può che continuare a essere vittima e carnefice di un paradosso ideologico/culturale.

Non può che auto/convincersi di combattere un nemico, o creduto tale, mentre già sistematicamente lo sta favorendo, essendo egli stesso a quel punto nemico di sé, e per giunta senza saperlo.

Così divenuto, questo principio informe lo si può trovare da destra come da sinistra, sebbene sia da destra che ultimamente tenda maggiormente a manifestarsi.

Quella destra, sedicente estrema o radicale, che non avendo ben chiari quei passaggi, o non riuscendo ad aggiornarli meglio su una prospettiva interpretativa (in questo caso è sempre il libero arbitrio a fungere da scusante) è contro la Nato favorendo la Nato, è a favore della Russia senza sapere di averla contro, le è pressoché indifferente la Gran Bretagna, oggi più che mai invece la vera artefice intenzionale del disagio strutturale delle comunità e dei popoli d’Europa, e sotto tutti i punti di vista.

Presupposti del genere, in termini di preparazione, non imporrebbero affatto un principio di rivoluzione; rivoluzione da intendersi all’opposto di un Psychological Warfare Branch (e sigle successive), di un MK-ULTRA o di un Monarch, ad esempio.

E tale rivoluzione potrebbe dunque prevedere (se non che dovrebbe) un chiaro senso istituzionale di strategia, che non sempre può o deve essere mostrato, come se quindi dovesse restare sotto traccia per svariati motivi avversi di cautela o progettuale sicurezza.

A sinistra invece sembra resista ancora un certo orgoglio d’ambito, pari al fatto di non voler fare i conti con la propria storia e nascita ideologica, in quelle che poi si sono rivelate delle fatali conseguenze strutturali (in un più realistico passaggio dal comunismo al liberismo, ad esempio); ché per non rischiare di scomparire, si è soliti talvolta affermare il falso, quando è fin troppo evidente che su determinate idee o scelte di campo, non sarebbero in pochi a riconoscerne iniquità e irrealismo, a sacrificio di più autentiche e intelligenti soluzioni.

Con la scusante internazionalista, che ancora sembra reggere, si tende a essere alla mercé di un occulto superpotere, venendo così a mancare quei presupposti di lotta sociale o di classe, e generando, in sostituzione, nuove o presunte campagne in difesa dei più “deboli” (su tutto LGBT+ e migranti) campagne che per quanto possano addurre nobili motivazioni in alcuni, all’interno di un circuito ben delineato di nascenti o rinnovate caste (lobby o logge) altro non divengono che strumentali per altri auspici, che si riveleranno come medesime conseguenze per cui essa stessa si ritrovò poi a farne i conti, confermandosi quindi quell’orgoglio della non riconoscenza, o negazione della propria storia e nascita ideologica, in fondo molto più consapevole comunque, dei già citati paradossi di parte opposta.

Potremmo quindi definirla come sinistra a ridosso di un potere (e comunque vada) esecutrice prima che pensante, salvo da parte sua ciò non sia - come del resto a destra nei suoi più autentici aspetti rivoluzionari - un’altrettanta, metodica strategia: per quanto le attuali vicissitudini, in questo caso, tendano con ben pochi dubbi a smentirne tutto ciò.

II. Quale strategia?

Dunque a cosa corrisponderebbe questa strategia?

Trattasi di una forma persuasiva di comunicazione e di propaganda, in relazione agli attacchi dei propri diretti e indiretti nemici o avversari.

La già citata autentica rivoluzione a destra, è tale in quanto lo dovrebbe essere il più possibile, perché il momento è quello propizio, e perché in quegli ambiti qualcosa, a partire da una serie di avvenimenti a favore, comincia a intravedersi.

Dicasi strategia istituzionale perché comprendente di voto, con anche una sua legittima funzione e giustificazione all'interno di un parlamento.

Per entrare ancora più nel merito della questione, su certe accuse di fascismo, non si tratta dunque di mascherarsi per rievocarne la sua bellica fase cronologico/terminale, ma semplicemente per riprenderne la sua volontà o ispirazione, adattandola, finché possibile, a tempi e luoghi.

Proprio perché a quella tradizione comunque ci si richiama, tradizione che non può però limitarsi unicamente a un concetto di quel tipo.

Volontà o ispirazione, che dai manifesti sansepolcristi del 1919 corrisponderebbe al fatto di volersi adeguare a un potere, nel tentativo di trasformare alcune ideologie, per rafforzarle, migliorarle, inglobarle su un più ampio concetto di Patria e Nazione; dunque da un ambito internazionale, e quando potenzialmente privatistico, per rivoluzionare, riordinare e meglio difendere questo tipo di aspetti.

Questa può dirsi la summa di tale strategia insita in una concezione fascistica della tradizione: lo era già e lo dovrebbe essere sempre, e di tutto ciò ne dovrebbero tener conto anche quelle schiere attuali della destra, sedicente estrema o radicale, prima di farne una polemica o di gridare al tradimento.

Sia loro che la sinistra (di recente o meno recente estrazione) oltre a non avere argomenti autenticamente risolutivi, restano i primi, inevitabilmente gli unici, a storicizzare il fascismo, a considerarlo un cimelio da riproporre al pari di un’idolatria priva di intenzionale e originaria sostanza, se non quando da rendere improponibile a prescindere da medesime e sostanziali distinzioni (è il caso appunto della sinistra).

Motivo per cui, da parte di un’autentica destra rivoluzionaria, nei suoi programmi formativi e applicativi - e quando ben intesi e naturalmente riscontrabili - una troppa dettagliata esposizione, in tal senso una persistente propaganda permeata da aspetti fascistici di cui sopra (ovvero quando rischiosamente strumentalizzabili) non le è certo affidabile: si renderebbe semmai necessaria una forma di copertura, quindi di persuasione, che non faccia precipitare ciò in quello che ormai è stato fatto passare, aprioristicamente, come un irrimediabile pregiudizio (soprattutto nei tempi ultimi).

Sebbene in termini di maggior comprensione, a tal proposito possa rendersi necessario un ulteriore aspetto.

Trattasi anche qui di un qualcosa che le rispettive "estremità" politiche, ma non solo, dovrebbero quantomeno attenzionare.

E risaputo infatti che l’attacco agli imperi centrali durante la prima guerra mondiale fu propiziato sostanzialmente dai britannici, Regno Unito che al suo interno conteneva le schiere del cosiddetto NUOVO ORDINE MONDIALE, per cui si ritenne che il motivo di tale attacco poté essere anche duplice, ovvero sia territoriale/finanziario (U.K), che internazionale/speculativo.

Il principale obiettivo cominciavano a essere le risorse energetiche, e le zone d’interesse individuate dai britannici furono quindi quelle a trazione tedesca, ovvero l’Europa, il Terzo Mondo e il Medio Oriente: vennero colpiti quegli imperi, smembrato quello Ottomano (fin lì appunto sotto l’egida tedesca) e anche tra i vincitori, come risaputo, non tutti ottennero ciò che spettava loro, proprio perché una troppa indipendenza fra nazioni, per parte britannica, non sarebbe affatto convenuta a garanzia di quegli stessi interessi.

Per la vittoria “mutilata” dell’Italia, le maggiori accuse vennero rivolte proprio nei confronti dei britannici, a cui però a un certo punto li si presentò, in patria, l’incognita della fazione liberale/laburista, che guardava con simpatia all'Unione Sovietica, e a prescindere da sue correnti riferibili al NUOVO ORDINE MONDIALE, proprio lì collocatesi.

È anche vero dunque che il pregiudizio, per certi versi, il fascismo lo richiamò a sé, quando non seppe sfruttare abilmente le possibilità che le correnti conservatrici britanniche (ma non solo) gli concedettero, finanziando fin dal principio la sua impresa, consentendogli tranquillamente di andare al potere nel nome di un anticomunismo e in una comunanza d’intenti del tutto filo/britannica.

Forse i metodi anglosassoni, e nonostante il contributo recato, restarono comunque infimi, ma sta di fatto che a causa della sua imprudente deriva decisionale/bellicista, i vincitori criminalizzarono, pregiudicarono i vinti, e chi venne successivamente, anche e soprattutto da un punto di vista politico, pagò non poche conseguenze.

III. L’ennesima forma bellica di controllo

Ma di pregiudizio quindi, ve ne fu anzitutto un altro, ovvero quello nei confronti dell’aggressore tedesco (austriaco o germanico che fosse) fin lì ritenuto, per metodi di conquista, per gestione della propria area di influenza, come un elemento barbaro (lasciando intendere con ciò una certa efferatezza).

Per gli italiani un qualcosa di ingannevole, non tanto alla stipula del patto d’acciaio, quanto per il fatto che la blitzkrieg nazionalsocialista potesse ripresentare quelle tipiche tipologie barbariche; tanto da indurre l’Italia, e il fascismo di allora, ad entrare in guerra da alleata degli stessi tedeschi, in un rapporto non proprio idilliaco, quando in balia degli eventi e senza esserne preparata al meglio.

Ché in quelle circostanze, se in alcuni casi da parte del tedesco si agì con barbarico impulso, non è detto che ai più tale modalità dovesse essere percepita necessariamente da un precedente retaggio: semmai per la poca fiducia riposta nell'alleato, giustappunto nel momento e per le circostanze in cui egli si ritrovò a occupare la penisola nel 1943.

Ciò a cui invece si assiste oggi è l’ennesima forma bellica di controllo, più raffinata, duratura, strategica, quindi con meno possibilità di vie d’uscita da parte di chi, in un modo o nell'altro, ne diviene succube o preda, lentamente, inconsapevolmente.

E parliamo di conflitti asimmetrici, dove quindi non è facile perfino identificare il principale agente scatenante, o al più trattasi di guerre finte con finti buoni e cattivi, fra loro perennemente in lotta così come in affari, in un gioco al massacro che ne va anche della tanto allarmante pandemia, del tanto acclamato, ecologico (?) spopolamento, fenomeni voluti, nelle intenzioni decisionali di fondo (e per il senso stesso delle decisioni da intraprendere per poterne mantenere l’autorità) da quelle poc'anzi accennate cerchie del NUOVO ORDINE MONDIALE.