Essere europeisti oggi, significa aver ben presente quel passaggio che va da una rigorosa, ingerente, economica condizione, a un'altra, successiva, di tipo costruttivo, politico, solidale.
A scapito di ulteriori minacce esteriori, significa che quel tipo di condizione non ne ha comunque intaccato una propria interna volontà di unione e rafforzamento.
In termini concorrenziali, Asia, e Cina soprattutto, più di recente Russia e zone limitrofe ad essa, sono le principali motivazioni del perché siano state intraprese tali scelte e strategici posizionamenti.
Chi non ha ben compreso quel passaggio - su una prima fase intenzionale, poi ripresa e concretizzata solo successivamente - e continua a rifugiarsi in movimenti o partiti strumentali di chiara matrice anti/euro o anti/europa (ma stesso discorso varrebbe per quelli infiltrati pro/europa, comunque sempre meno influenti) non può che continuare a essere vittima e carnefice allo stesso tempo di un paradosso ideologico/culturale.
Non può che auto/convincersi di combattere un nemico, o creduto tale, mentre già sistematicamente lo sta favorendo, essendo egli stesso a quel punto nemico di sé, e per giunta senza saperlo.
Così divenuto, questo principio informe lo si può trovare da destra come da sinistra, sebbene sia da destra che ultimamente tenda maggiormente a manifestarsi.
Quella destra estrema o radicale, presuntivamente fascista, che non avendo appunto ben chiaro quei passaggi, o non riuscendo tendenzialmente ad aggiornarli su una più chiara prospettiva informale/interpretativa (in questo caso è sempre il libero arbitrio a fungere da scusante) è contro la Nato favorendo la Nato, è a favore della Russia senza sapere di averla contro, le è pressoché indifferente la Gran Bretagna, oggi più che mai invece la vera artefice intenzionale del disagio strutturale delle comunità e dei popoli d'Europa, e sotto tutti i punti di vista.
Al contrario di un ambito a sinistra - eccetto per alcune accomunanze riguardo aspetti illusori o particolarmente da lotta di classe - sono atteggiamenti, quelli paradossali di cui sopra, che potrebbero sfociare in gesti, in reazioni affatto realistiche o strategiche, e comunque, quand'anche violente o terroristiche, di chiara matrice estremizzante, per quanto la tendenza attuale imponga che qualsivoglia sistematica provocazione sia come da subire, da affrontare passivamente (e in forma al più mediatica) facendosi coraggio e fronte comune a vicenda, su analisi informative dall'auspicio utopico del "vorremmo che fosse".
Presupposti del genere, in termini di preparazione, non imporrebbero affatto un principio di rivoluzione; rivoluzione da intendersi come fattiva riprogrammazione o risistemazione, all'opposto di un Psychological Warfare Branch (e sigle successive) di un MK-ULTRA o di un Monarch, ad esempio.
E tale rivoluzione potrebbe dunque prevedere (se non che dovrebbe) un chiaro senso istituzionale di strategia, che non sempre può o deve essere mostrato (e ciò è anche il motivo del perché [la rivoluzione] nella sua accezione più generica, essendo gerarchica o elitaria, non sia affatto per tutti) come se quindi dovesse restare sotto traccia per svariati motivi avversi, di cautela o progettuale sicurezza.
E d'altronde tale strategia, nella sua metodica, segreta, ispirazione, proprio per via di questi motivi, nei riguardi della parte a sé più vicina, potrebbe inevitabilmente causare continui paradossi (parte come detto estremamente o radicalmente di destra, presuntivamente fascista) sebbene spetti al neofita, più che altro, cercare di comprenderla, eventualmente convertendosi o riconvertendosi, e alimentandola gradualmente, senza quindi lasciarsi prendere da derive paradossali o illusorie, dunque mediatiche, quali quelle fin qui citate.
A sinistra invece sembra resista ancora un certo orgoglio d'ambito, pari al fatto di non voler fare i conti con la propria storia e nascita ideologica, in quelle che poi si sono rivelate delle fatali conseguenze strutturali (in un più realistico passaggio dal comunismo al liberismo, ad esempio); ché per non rischiare di scomparire, si è soliti talvolta affermare il falso, quando è fin troppo evidente che su determinate idee o scelte di campo, non sarebbero in pochi a riconoscerne iniquità e irrealismo, e a scapito di più autentiche e intelligenti soluzioni.
Con la scusante internazionalista, che ancora sembra reggere, si tende a essere alla mercé di un superpotere velatamente borghese, venendo così a mancare quei presupposti di lotta sociale o di classe, e generando, in sostituzione, nuove o presunte campagne in difesa dei più "deboli" (su tutto LGBT e migranti) campagne che per quanto possano addurre nobili motivazioni in alcuni, all'interno di un circuito ben delineato di nascenti o rinnovate caste (lobby o logge) altro non divengono che strumentali per altri auspici, che si riveleranno come medesime conseguenze per cui essa stessa si ritrovò poi a farne i conti, confermandosi quindi quell'orgoglio della non riconoscenza, o negazione della propria storia e nascita ideologica, in fondo molto più consapevole comunque, dei già citati paradossi di parte opposta.
Potremmo quindi definirla come sinistra a ridosso di un potere (e comunque vada) esecutrice prima che pensante, salvo da parte sua ciò non sia - come del resto a destra nei suoi più autentici aspetti rivoluzionari - un'altrettanta, metodica strategia: per quanto le attuali vicissitudini, in questo caso, tendano con ben pochi dubbi a smentirne tutto ciò.
In raffronto al potere vigente, c'è poi il caso di quella sinistra estrema o radicale, che non si discosta molto dalla sua controparte a destra: attualmente è come se si interscambiassero, a patto poi di distanziarsi nei propri cimeli storico/ideologici, da non mescolare e talvolta anche, e nonostante tutto, da contestualizzare con vicendevole sfida e orgoglio; in entrambi i casi un divide et impera per i loro amici/nemici limitatamente riconosciuti, che continueranno così a convogliarne rabbia e frustrazione, a sfruttarne utopie/distopie, mantenendo salde le proprie posizioni.
II. Quale strategia?
Dunque a cosa corrisponderebbe questa strategia?
Non ricoprendo alcuna carica politica e non militando in nessun ambiente del genere, non avrei comunque problemi a discuterla, a esporla.
E si badi, non è unicamente per un sentito dire o il frutto di uno scambio di vedute, ma da libero ricercatore indipendente, più che altro per una questione deduttiva, portata vuoi dall'esperienza intellettuale, vuoi dall'analisi delle attuali vicissitudini politiche, quando relazionate a un loro contesto storico.
Ciò però non deve essere inteso come qualcosa di assolutamente oggettivo.
Perché trattasi, né più né meno, che di una forma persuasiva di comunicazione e di propaganda, in relazione agli attacchi dei propri diretti e indiretti nemici o avversari.
La già citata autentica rivoluzione a destra, è tale in quanto lo dovrebbe essere il più possibile, perché il momento è quello propizio, e perché in quegli ambiti qualcosa, a partire da una serie di avvenimenti a favore, comincia a intravedersi.
Dicasi strategia istituzionale perché comprendente di voto, con anche una sua legittima funzione e giustificazione all'interno di un arco costituzionale.
Per entrare ancora più nel merito della questione, di certe accuse dunque, non si tratta di mascherarsi per favorire qualsivoglia fascismo atlantico, o per rievocarne del fascismo la sua bellica fase cronologico/terminale; ma semplicemente per riprenderne la sua originaria volontà o ispirazione, adattandola, finché possibile, a tempi e luoghi.
Proprio perché a quella tradizione comunque ci si richiama, tradizione che non può però limitarsi unicamente a un concetto di quel tipo.
Volontà o ispirazione, che dai manifesti sansepolcristi del 1919, corrisponderebbe al fatto di volersi adeguare a un potere, nel tentativo di trasformarne alcune ideologie (qualora si possa essere aristocratici, liberali, comunisti, democratici ecc.) per rafforzarle, migliorarle, inglobarle, su un più ampio concetto di Patria e di Nazione; dunque da un ambito internazionale, e quando potenzialmente privatistico, andando a rivoluzionarne, riordinarne e meglio difenderne questo tipo di aspetti.
Questa può dirsi la summa di tale strategia insita in una concezione fascistica della tradizione: lo era già e lo dovrebbe essere sempre, e di tutto ciò ne dovrebbero tener conto anche quelle schiere attuali della destra estrema o radicale, prima di farne una polemica o di gridare al tradimento.
Sia loro che la sinistra (di vecchia o di più recente estrazione) oltre a non avere argomenti autenticamente risolutivi, restano i primi, inevitabilmente gli unici, a storicizzare il fascismo, come detto a considerarlo un cimelio da riproporre al pari di un'idolatria priva di intenzionale e originaria sostanza; se non quando sia da rendere improponibile a prescindere da medesime e sostanziali distinzioni (e il caso appunto della sinistra) rendendo causa invece, spesso inconsapevolmente, a quei poteri che talvolta da una parte, talvolta dall'altra, se ne servono e se ne sono sempre serviti.
Motivo per cui, da parte di un'autentica destra rivoluzionaria, nei suoi programmi formativi e applicativi - e quando ben intesi e naturalmente riscontrabili - una troppa dettagliata esposizione, in tal senso una persistente propaganda permeata da aspetti fascistici di cui sopra (ovvero quando rischiosamente mal-intesi o potenzialmente strumentalizzabili) non le è certo affidabile:
E si badi, non è unicamente per un sentito dire o il frutto di uno scambio di vedute, ma da libero ricercatore indipendente, più che altro per una questione deduttiva, portata vuoi dall'esperienza intellettuale, vuoi dall'analisi delle attuali vicissitudini politiche, quando relazionate a un loro contesto storico.
Ciò però non deve essere inteso come qualcosa di assolutamente oggettivo.
Perché trattasi, né più né meno, che di una forma persuasiva di comunicazione e di propaganda, in relazione agli attacchi dei propri diretti e indiretti nemici o avversari.
La già citata autentica rivoluzione a destra, è tale in quanto lo dovrebbe essere il più possibile, perché il momento è quello propizio, e perché in quegli ambiti qualcosa, a partire da una serie di avvenimenti a favore, comincia a intravedersi.
Dicasi strategia istituzionale perché comprendente di voto, con anche una sua legittima funzione e giustificazione all'interno di un arco costituzionale.
Per entrare ancora più nel merito della questione, di certe accuse dunque, non si tratta di mascherarsi per favorire qualsivoglia fascismo atlantico, o per rievocarne del fascismo la sua bellica fase cronologico/terminale; ma semplicemente per riprenderne la sua originaria volontà o ispirazione, adattandola, finché possibile, a tempi e luoghi.
Proprio perché a quella tradizione comunque ci si richiama, tradizione che non può però limitarsi unicamente a un concetto di quel tipo.
Volontà o ispirazione, che dai manifesti sansepolcristi del 1919, corrisponderebbe al fatto di volersi adeguare a un potere, nel tentativo di trasformarne alcune ideologie (qualora si possa essere aristocratici, liberali, comunisti, democratici ecc.) per rafforzarle, migliorarle, inglobarle, su un più ampio concetto di Patria e di Nazione; dunque da un ambito internazionale, e quando potenzialmente privatistico, andando a rivoluzionarne, riordinarne e meglio difenderne questo tipo di aspetti.
Questa può dirsi la summa di tale strategia insita in una concezione fascistica della tradizione: lo era già e lo dovrebbe essere sempre, e di tutto ciò ne dovrebbero tener conto anche quelle schiere attuali della destra estrema o radicale, prima di farne una polemica o di gridare al tradimento.
Sia loro che la sinistra (di vecchia o di più recente estrazione) oltre a non avere argomenti autenticamente risolutivi, restano i primi, inevitabilmente gli unici, a storicizzare il fascismo, come detto a considerarlo un cimelio da riproporre al pari di un'idolatria priva di intenzionale e originaria sostanza; se non quando sia da rendere improponibile a prescindere da medesime e sostanziali distinzioni (e il caso appunto della sinistra) rendendo causa invece, spesso inconsapevolmente, a quei poteri che talvolta da una parte, talvolta dall'altra, se ne servono e se ne sono sempre serviti.
Motivo per cui, da parte di un'autentica destra rivoluzionaria, nei suoi programmi formativi e applicativi - e quando ben intesi e naturalmente riscontrabili - una troppa dettagliata esposizione, in tal senso una persistente propaganda permeata da aspetti fascistici di cui sopra (ovvero quando rischiosamente mal-intesi o potenzialmente strumentalizzabili) non le è certo affidabile:
si renderebbe semmai necessaria una forma di copertura, quindi di persuasione, che non faccia precipitare tutto ciò in quello che ormai è stato fatto passare, aprioristicamente, come un irrimediabile pregiudizio (soprattutto nei tempi ultimi).
Sebbene in termini di maggior comprensione, a tal proposito possa rendersi necessario un ulteriore aspetto.
Trattasi anche qui di un qualcosa che le rispettive estremità politiche, ma non solo, dovrebbero quantomeno attenzionare.
E risaputo infatti che l'attacco agli imperi centrali durante la prima guerra mondiale fu propiziato sostanzialmente dai britannici, Regno Unito che al suo interno conteneva le schiere del cosiddetto NUOVO ORDINE MONDIALE - e quando ancora occultamente in lotta contro un ORDINE MONDIALE TRADIZIONALE (l'ultimo avamposto ufficiale sarebbe passato attraverso il nazionalsocialismo e il fascismo) - per cui il motivo di tale attacco poteva essere anche duplice, ovvero sia territoriale/finanziario (U.K) che internazionale/speculativo.
Il principale obiettivo cominciavano a essere le risorse energetiche, per cui le zone d'interesse individuate dai britannici furono anzitutto quelle a trazione tedesca, ovvero l'Europa, il Terzo Mondo e il Medio Oriente: vennero colpiti quegli imperi, smembrato quello Ottomano (fin lì appunto sotto l'egida tedesca) e anche tra i vincitori, come risaputo, non tutti ottennero quel che gli spettava, proprio perché una troppa indipendenza fra nazioni, per parte britannica, non sarebbe affatto convenuta a garanzia di quegli stessi interessi.
Per la vittoria mutilata dell'Italia, le maggiori accuse vennero rivolte proprio nei confronti dei britannici, a cui però a un certo punto li si presentò, in patria, l'incognita della fazione liberale/laburista, che guardava con simpatia all'Unione Sovietica, e a prescindere da sue correnti riferibili al NUOVO ORDINE MONDIALE, proprio lì collocatesi.
È anche vero dunque che il pregiudizio, per certi versi, il fascismo se lo richiamò a sé, quando non seppe sfruttare abilmente le possibilità che le correnti conservatrici britanniche (ma non solo) gli concedettero, finanziando fin dal principio la sua impresa, consentendogli tranquillamente per il tramite di Casa Savoia di andare al potere, nel nome di un anticomunismo e in una comunanza d'intenti del tutto filo/britannica.
Forse i metodi anglosassoni, e nonostante il contributo recato, restarono comunque infimi, ma sta di fatto che a causa della sua imprudente deriva decisionale/bellicista (seppur rivoluzionaria in seno a quell'ORDINE MONDIALE TRADIZIONALE) i vincitori criminalizzarono, pregiudicarono i vinti, e chi venne successivamente, anche e soprattutto dal punto di vista politico, pagò non poche conseguenze.
III. L'ennesima forma bellica di controllo
Ma di pregiudizio quindi, ve ne fu anzitutto un altro, ovvero quello nei confronti dell'aggressore tedesco (austriaco o germanico che fosse) fin lì ritenuto, per metodi di conquista, per gestione della propria area di influenza, come un elemento barbaro (lasciando intendere con ciò una certa efferatezza).
Per gli italiani un qualcosa di ingannevole, non tanto alla stipula del patto d'acciaio, quanto per il fatto che la blitzkrieg nazionalsocialista - sempre e comunque da Londra provocata, per il tramite di alcune leve del NUOVO ORDINE MONDIALE - potesse ripresentare quelle tipiche tipologie barbariche; tanto da indurre l'Italia, e il fascismo di allora, a entrare in guerra da alleata concorrenziale degli stessi tedeschi, in un rapporto non proprio idilliaco, e quando in balia degli eventi e senza esserne preparata al meglio.
Ché in quelle circostanze, se in alcuni casi da parte del tedesco si agì con barbarico impulso, non è detto che ai più tale modalità dovesse essere percepita necessariamente da un precedente retaggio: semmai per la poca fiducia riposta nell'alleato, giustappunto nel momento e per le circostanze in cui egli si ritrovò a invadere la penisola nel 1943.
Un insieme di elementi, che provocarono un caos bellico/tattico con conseguente e complessiva sconfitta.
Così come della Germania di ieri dunque, potremmo dire lo stesso della Russia d'oggi?
In termini di rozzezza metodica o cruenta efferatezza può anche darsi, per il resto mi riserverei qualche dubbio.
Quelli, a prescindere, furono conflitti fulminei, rivoluzionari, mentre ciò a cui assistiamo oggi è l'ennesima forma bellica di controllo, più raffinata, duratura, strategica, quindi con meno possibilità di vie d'uscita da parte di chi, in un modo o nell'altro, ne diviene succube, lentamente, inconsapevolmente.
E parliamo di conflitti asimmetrici, dove quindi non è facile perfino identificarne il principale agente scatenante, o al più trattasi di guerre finte con finti buoni e cattivi, fra loro perennemente in lotta così come in affari, in un gioco al massacro che ne va anche della tanto allarmante pandemia, del tanto acclamato, ecologico (?) spopolamento, fenomeni voluti, nelle intenzioni decisionali di fondo (e per il senso stesso delle decisioni da intraprendere per poterne mantenere l'autorità) da quelle poc'anzi accennate cerchie del NUOVO ORDINE MONDIALE.
Con l'invasione dell'Afghanistan, e quando ancora si chiamava URSS, la Russia si era spinta già troppo oltre, evidentemente esagerando: in quel contesto pose fine al suo impero senza colpo ferire, a dimostrazione della fredda relazione che in fondo intratteneva con i suoi emissari occidentali (USA su tutti) un rapporto, una sudditanza più che altro di natura finanziaria, tale da giustificare un simile, innocuo, disfacimento (ma d'altronde dal comunismo cosa si può pretendere, ricchezza forse?)
Un po' come quando Stalin restò a guardare mentre gli inglesi facevano razzie in Grecia: un chiaro esempio di come a ridosso dei propri alleati ufficiali e non, ci sia stato un continuo, indiretto colpire, per poi risolvere, restituire, ripagare: da una parte Cecoslovacchia, Ungheria, Cuba, Serbia, Cipro ecc. dall'altra un mandato, una missione internazionale per il tramite dell'ONU o della NATO; un amore/odio del tutto apparente - e più odio che amore quando trattasi di propaganda - a cui in fondo va bene così, purché sopravviva il proprio sistema di potere.
IV. Da sinistra a destra
In conclusione, sembrerebbe tendenza ultima quella di far passare, di condividere l'idea che la famigerata destra italiana sia lì dove si trova, con previsti e relativi vantaggi, unicamente per il fatto che la sinistra non assolva più al ruolo che le dovrebbe essere congeniale.
Osservazioni piuttosto tendenziose, senza dubbio dettate da circostanze di cui già dicemmo, ma che non impiegheremo molto ad approfondire ulteriormente.
Presa singolarmente infatti - ovvero al di là da approssimativi fronti comuni fra nostalgismo ed estremismo - tale destra non è altro che spontanea e inevitabile proiezione della sinistra.
E cioè: non si tratta del fatto che la destra possa ricoprire uno spazio lasciato dalla sinistra, quasi come non ne avesse in fondo le capacità, o fosse qualcosa di mediocre o brutale; ma per il fatto che nella storia, ogni uomo di destra è stato potenzialmente e anzitutto un uomo di sinistra, quando da intendersi su presupposti di tipo comunitario o autenticamente umanitario.
Di una sinistra che verte su posizioni liberal/classiste o massonico/lobbistiche - che in fondo sono quelle sue originarie - sono proprio tali posizioni diversamente intese (non quindi quelle comunitarie o autenticamente umanitarie) ad aver ostruito e infiltrato - ma già da oltre due secoli - una sua progressiva evoluzione, evoluzione se vogliamo dettata da un suo limpido trasformismo (rivoluzionario) tendente sporadicamente a riproporsi, per quanto appunto dalla sua nascita possa dirsi fosse già destinata a ridursi come l'opposto di ciò che andava a promulgare e difendere.
Per cui all'interno di quel limpido trasformismo, come ulteriore componente, potremmo metterci anche la destra, quando a sua volta non infiltrata da ambienti di tipo piduistico (tanto per renderne un'idea) ambito, quello piduista, utilizzato proprio da quella sinistra liberal/classista o massonico/lobbistica, quando di quella sinistra comunitaria e autenticamente umanitaria a sua volta già infiltrata.
Quanto appena detto potrebbe essere una chiave di lettura di ciò che avvenne in Italia durante gli anni di piombo (sebbene non ancora sorretta da prove consistenti) pur tuttavia in termini di valoriale conoscenza, e per ritornare a quanto detto in precedenti occasioni, a frenare un esercizio consuetudinario di certa sedicente sinistra, è proprio quell'orgoglio d’ambito, che anche laddove possano esserci idee/forma universali, sostenute di effettive conseguenze che possano essere riconosciute come comunitarie o autenticamente umanitarie - o se non altro realistiche - il fatto di negare che siano qualche cosa di attinente alla sinistra, e indipendentemente dalla collocazione o sigla, continuerà molto più schiettamente a produrre, a creare, uomini e donne di destra, intenti a difendere, e perfino dalle più profonde levature spirituali e simboliche, ciò che a sinistra verrà spacciato come comunitario o autenticamente umanitario, ma che in fondo altro non è - talvolta consapevolmente, talvolta meno - che un muscolo della sua primigenia fioritura, ovvero quella di matrice liberal/classista o massonico/lobbistica (e fino a spingersi a livelli più estremi, ma in questo caso non poco influenti, di tipo satanico) che sono quanto più da combattere possa esserci, dall'occorrenza che si è fatta movimento, partito.
Certo su dettagliati aspetti teorici, fra destra e sinistra potrebbero esserci delle differenze di fondo, come quelle riguardanti una weltanschauung, a destra, di tipo metafisico o religioso (o impersonale e formativo che dir si voglia) al cospetto di un’altra, a sinistra, molto più scientista e materialista, sorretta spesso di scusante individualistica (e qui ne vediamo già una fondamentale simulazione da parte di quelle “illuminate” élites) ma può dirsi che quel che maggiormente si distingue in tutto ciò, unendo le due parti in chiave geopolitica e geostrategica, è, e dovrebbe essere, il senso di Patria e di Stato.
Lo è stato dall'immediato dopoguerra, in quello che divenne il cosiddetto compromesso storico, dove abbiamo avuto, per strategia degli occulti e vittoriosi occupanti (a più riprese, in sequenza, britannici, statunitensi, francesi, israeliani) un’estrema destra che faceva grossomodo il loro sinistro interesse (ovvero quello delle schiere liberal/classiste o massonico/lobbistiche) e per una questione di utile e vicendevole reinserimento (spesso da pregiudicati fuoriusciti dal fascismo); una sua parte più limpidamente extra/parlamentare sostanzialmente usata, poi crocifissa dalla P2, per il tramite di quegli stessi ambienti; una sinistra a cui fu negato qualsivoglia ruolo sociale, in termini di apparati di Stato (le fu concessa la cultura, qualcosa che attualmente potremmo situare a destra, poiché rimasuglio effettivo di quando un’area non è complice o vittima interna di un potere) che proprio per via di questi motivi riuscì a riemergere o a trasformarsi/rivoluzionarsi, ma non certo per via di un vuoto di parte opposta.
Salvo poi [come sinistra] rientrare nei propri ranghi originari, sia per via delle sue sguinzagliate parti estreme (spesso colluse e armate) ma soprattutto a seguito di alcune recenti vicissitudini, ché più che un’area di cultura e autenticità, ne hanno fatto un’area di potere e mistificazione, intenta continuamente a fregiarsi di priorità di merito, nel suo caso ormai divenute anacronistiche, un atteggiamento che non può che fare il gioco di chi l’ha affossata (di cui giocando in casa sembra comunque non dispiacersene) anziché constatare dove quelle idee/forma, quegli autentici atteggiamenti sono invece confluiti, per quello che politicamente e strategicamente è lo scenario attuale.
Sebbene in termini di maggior comprensione, a tal proposito possa rendersi necessario un ulteriore aspetto.
Trattasi anche qui di un qualcosa che le rispettive estremità politiche, ma non solo, dovrebbero quantomeno attenzionare.
E risaputo infatti che l'attacco agli imperi centrali durante la prima guerra mondiale fu propiziato sostanzialmente dai britannici, Regno Unito che al suo interno conteneva le schiere del cosiddetto NUOVO ORDINE MONDIALE - e quando ancora occultamente in lotta contro un ORDINE MONDIALE TRADIZIONALE (l'ultimo avamposto ufficiale sarebbe passato attraverso il nazionalsocialismo e il fascismo) - per cui il motivo di tale attacco poteva essere anche duplice, ovvero sia territoriale/finanziario (U.K) che internazionale/speculativo.
Il principale obiettivo cominciavano a essere le risorse energetiche, per cui le zone d'interesse individuate dai britannici furono anzitutto quelle a trazione tedesca, ovvero l'Europa, il Terzo Mondo e il Medio Oriente: vennero colpiti quegli imperi, smembrato quello Ottomano (fin lì appunto sotto l'egida tedesca) e anche tra i vincitori, come risaputo, non tutti ottennero quel che gli spettava, proprio perché una troppa indipendenza fra nazioni, per parte britannica, non sarebbe affatto convenuta a garanzia di quegli stessi interessi.
Per la vittoria mutilata dell'Italia, le maggiori accuse vennero rivolte proprio nei confronti dei britannici, a cui però a un certo punto li si presentò, in patria, l'incognita della fazione liberale/laburista, che guardava con simpatia all'Unione Sovietica, e a prescindere da sue correnti riferibili al NUOVO ORDINE MONDIALE, proprio lì collocatesi.
È anche vero dunque che il pregiudizio, per certi versi, il fascismo se lo richiamò a sé, quando non seppe sfruttare abilmente le possibilità che le correnti conservatrici britanniche (ma non solo) gli concedettero, finanziando fin dal principio la sua impresa, consentendogli tranquillamente per il tramite di Casa Savoia di andare al potere, nel nome di un anticomunismo e in una comunanza d'intenti del tutto filo/britannica.
Forse i metodi anglosassoni, e nonostante il contributo recato, restarono comunque infimi, ma sta di fatto che a causa della sua imprudente deriva decisionale/bellicista (seppur rivoluzionaria in seno a quell'ORDINE MONDIALE TRADIZIONALE) i vincitori criminalizzarono, pregiudicarono i vinti, e chi venne successivamente, anche e soprattutto dal punto di vista politico, pagò non poche conseguenze.
III. L'ennesima forma bellica di controllo
Ma di pregiudizio quindi, ve ne fu anzitutto un altro, ovvero quello nei confronti dell'aggressore tedesco (austriaco o germanico che fosse) fin lì ritenuto, per metodi di conquista, per gestione della propria area di influenza, come un elemento barbaro (lasciando intendere con ciò una certa efferatezza).
Per gli italiani un qualcosa di ingannevole, non tanto alla stipula del patto d'acciaio, quanto per il fatto che la blitzkrieg nazionalsocialista - sempre e comunque da Londra provocata, per il tramite di alcune leve del NUOVO ORDINE MONDIALE - potesse ripresentare quelle tipiche tipologie barbariche; tanto da indurre l'Italia, e il fascismo di allora, a entrare in guerra da alleata concorrenziale degli stessi tedeschi, in un rapporto non proprio idilliaco, e quando in balia degli eventi e senza esserne preparata al meglio.
Ché in quelle circostanze, se in alcuni casi da parte del tedesco si agì con barbarico impulso, non è detto che ai più tale modalità dovesse essere percepita necessariamente da un precedente retaggio: semmai per la poca fiducia riposta nell'alleato, giustappunto nel momento e per le circostanze in cui egli si ritrovò a invadere la penisola nel 1943.
Un insieme di elementi, che provocarono un caos bellico/tattico con conseguente e complessiva sconfitta.
Così come della Germania di ieri dunque, potremmo dire lo stesso della Russia d'oggi?
In termini di rozzezza metodica o cruenta efferatezza può anche darsi, per il resto mi riserverei qualche dubbio.
Quelli, a prescindere, furono conflitti fulminei, rivoluzionari, mentre ciò a cui assistiamo oggi è l'ennesima forma bellica di controllo, più raffinata, duratura, strategica, quindi con meno possibilità di vie d'uscita da parte di chi, in un modo o nell'altro, ne diviene succube, lentamente, inconsapevolmente.
E parliamo di conflitti asimmetrici, dove quindi non è facile perfino identificarne il principale agente scatenante, o al più trattasi di guerre finte con finti buoni e cattivi, fra loro perennemente in lotta così come in affari, in un gioco al massacro che ne va anche della tanto allarmante pandemia, del tanto acclamato, ecologico (?) spopolamento, fenomeni voluti, nelle intenzioni decisionali di fondo (e per il senso stesso delle decisioni da intraprendere per poterne mantenere l'autorità) da quelle poc'anzi accennate cerchie del NUOVO ORDINE MONDIALE.
Con l'invasione dell'Afghanistan, e quando ancora si chiamava URSS, la Russia si era spinta già troppo oltre, evidentemente esagerando: in quel contesto pose fine al suo impero senza colpo ferire, a dimostrazione della fredda relazione che in fondo intratteneva con i suoi emissari occidentali (USA su tutti) un rapporto, una sudditanza più che altro di natura finanziaria, tale da giustificare un simile, innocuo, disfacimento (ma d'altronde dal comunismo cosa si può pretendere, ricchezza forse?)
Un po' come quando Stalin restò a guardare mentre gli inglesi facevano razzie in Grecia: un chiaro esempio di come a ridosso dei propri alleati ufficiali e non, ci sia stato un continuo, indiretto colpire, per poi risolvere, restituire, ripagare: da una parte Cecoslovacchia, Ungheria, Cuba, Serbia, Cipro ecc. dall'altra un mandato, una missione internazionale per il tramite dell'ONU o della NATO; un amore/odio del tutto apparente - e più odio che amore quando trattasi di propaganda - a cui in fondo va bene così, purché sopravviva il proprio sistema di potere.
IV. Da sinistra a destra
In conclusione, sembrerebbe tendenza ultima quella di far passare, di condividere l'idea che la famigerata destra italiana sia lì dove si trova, con previsti e relativi vantaggi, unicamente per il fatto che la sinistra non assolva più al ruolo che le dovrebbe essere congeniale.
Osservazioni piuttosto tendenziose, senza dubbio dettate da circostanze di cui già dicemmo, ma che non impiegheremo molto ad approfondire ulteriormente.
Presa singolarmente infatti - ovvero al di là da approssimativi fronti comuni fra nostalgismo ed estremismo - tale destra non è altro che spontanea e inevitabile proiezione della sinistra.
E cioè: non si tratta del fatto che la destra possa ricoprire uno spazio lasciato dalla sinistra, quasi come non ne avesse in fondo le capacità, o fosse qualcosa di mediocre o brutale; ma per il fatto che nella storia, ogni uomo di destra è stato potenzialmente e anzitutto un uomo di sinistra, quando da intendersi su presupposti di tipo comunitario o autenticamente umanitario.
Di una sinistra che verte su posizioni liberal/classiste o massonico/lobbistiche - che in fondo sono quelle sue originarie - sono proprio tali posizioni diversamente intese (non quindi quelle comunitarie o autenticamente umanitarie) ad aver ostruito e infiltrato - ma già da oltre due secoli - una sua progressiva evoluzione, evoluzione se vogliamo dettata da un suo limpido trasformismo (rivoluzionario) tendente sporadicamente a riproporsi, per quanto appunto dalla sua nascita possa dirsi fosse già destinata a ridursi come l'opposto di ciò che andava a promulgare e difendere.
Per cui all'interno di quel limpido trasformismo, come ulteriore componente, potremmo metterci anche la destra, quando a sua volta non infiltrata da ambienti di tipo piduistico (tanto per renderne un'idea) ambito, quello piduista, utilizzato proprio da quella sinistra liberal/classista o massonico/lobbistica, quando di quella sinistra comunitaria e autenticamente umanitaria a sua volta già infiltrata.
Quanto appena detto potrebbe essere una chiave di lettura di ciò che avvenne in Italia durante gli anni di piombo (sebbene non ancora sorretta da prove consistenti) pur tuttavia in termini di valoriale conoscenza, e per ritornare a quanto detto in precedenti occasioni, a frenare un esercizio consuetudinario di certa sedicente sinistra, è proprio quell'orgoglio d’ambito, che anche laddove possano esserci idee/forma universali, sostenute di effettive conseguenze che possano essere riconosciute come comunitarie o autenticamente umanitarie - o se non altro realistiche - il fatto di negare che siano qualche cosa di attinente alla sinistra, e indipendentemente dalla collocazione o sigla, continuerà molto più schiettamente a produrre, a creare, uomini e donne di destra, intenti a difendere, e perfino dalle più profonde levature spirituali e simboliche, ciò che a sinistra verrà spacciato come comunitario o autenticamente umanitario, ma che in fondo altro non è - talvolta consapevolmente, talvolta meno - che un muscolo della sua primigenia fioritura, ovvero quella di matrice liberal/classista o massonico/lobbistica (e fino a spingersi a livelli più estremi, ma in questo caso non poco influenti, di tipo satanico) che sono quanto più da combattere possa esserci, dall'occorrenza che si è fatta movimento, partito.
Certo su dettagliati aspetti teorici, fra destra e sinistra potrebbero esserci delle differenze di fondo, come quelle riguardanti una weltanschauung, a destra, di tipo metafisico o religioso (o impersonale e formativo che dir si voglia) al cospetto di un’altra, a sinistra, molto più scientista e materialista, sorretta spesso di scusante individualistica (e qui ne vediamo già una fondamentale simulazione da parte di quelle “illuminate” élites) ma può dirsi che quel che maggiormente si distingue in tutto ciò, unendo le due parti in chiave geopolitica e geostrategica, è, e dovrebbe essere, il senso di Patria e di Stato.
Lo è stato dall'immediato dopoguerra, in quello che divenne il cosiddetto compromesso storico, dove abbiamo avuto, per strategia degli occulti e vittoriosi occupanti (a più riprese, in sequenza, britannici, statunitensi, francesi, israeliani) un’estrema destra che faceva grossomodo il loro sinistro interesse (ovvero quello delle schiere liberal/classiste o massonico/lobbistiche) e per una questione di utile e vicendevole reinserimento (spesso da pregiudicati fuoriusciti dal fascismo); una sua parte più limpidamente extra/parlamentare sostanzialmente usata, poi crocifissa dalla P2, per il tramite di quegli stessi ambienti; una sinistra a cui fu negato qualsivoglia ruolo sociale, in termini di apparati di Stato (le fu concessa la cultura, qualcosa che attualmente potremmo situare a destra, poiché rimasuglio effettivo di quando un’area non è complice o vittima interna di un potere) che proprio per via di questi motivi riuscì a riemergere o a trasformarsi/rivoluzionarsi, ma non certo per via di un vuoto di parte opposta.
Salvo poi [come sinistra] rientrare nei propri ranghi originari, sia per via delle sue sguinzagliate parti estreme (spesso colluse e armate) ma soprattutto a seguito di alcune recenti vicissitudini, ché più che un’area di cultura e autenticità, ne hanno fatto un’area di potere e mistificazione, intenta continuamente a fregiarsi di priorità di merito, nel suo caso ormai divenute anacronistiche, un atteggiamento che non può che fare il gioco di chi l’ha affossata (di cui giocando in casa sembra comunque non dispiacersene) anziché constatare dove quelle idee/forma, quegli autentici atteggiamenti sono invece confluiti, per quello che politicamente e strategicamente è lo scenario attuale.